Più vicini, più sicuri: come l’industria automotive può ritararsi passando da delocalizzazione a un modello industriale a filiera
01/11/2022
Un chip prodotto in Cina, trasportato via nave o aereo in Europa, per poi essere montato su un’auto da vendere negli Stati Uniti. Ecco un piccolo esempio di globalizzazione applicata al mondo automotive. Una catena di forniture ormai consolidata, andata però a spezzarsi con l’inizio della pandemia, la crisi dei materiali – con i chip tristemente protagonisti – e infine con la guerra in Ucraina. Risultato: fino a 500 navi attraccate al porto di Shanghai senza il permesso né di attraccare né di salpare, aziende produttrici di cavi bloccate dal conflitto.
Così l’oliatissima supply chain che fino a qualche tempo fa permetteva al mondo di girare ora è diventata una sorta di freno, a rallentare produzione e vendite. Le risposte dell’industria automobilistica sono andate a differenti velocità, ma tutte in una direzione ben precisa: reshoring, ovvero lo spostare la produzione il più vicino possibile a dove le auto vengono assemblate. Così nuovi blocchi commerciali dovuti ai motivi più disparati non fanno più paura.
Tra chip e riciclo
Parlando ancora di chip, la Cina gioca da prima della classe ma la situazione potrebbe cambiare nei prossimi anni. Da tempo infatti colossi dell’informatica stanno pianificando la costruzione di nuove linee di produzione in Europa e Stati Uniti, così da rifornire in tempi brevi e senza intoppi le Case che a loro si affideranno. Alcune sono già operative e pensano già a ingrandirsi nei prossimi anni, con investimenti da centinaia di milioni di dollari, altre aspettano il “via libera” da parte delle autorità competenti.
Anche l’Italia potrebbe giocare un ruolo importante in questa partita: da settimane infatti un colosso della Silicon Valley avrebbe intenzione di investire 4,5 miliari di euro per la costruzione di una fabbrica di chip in Veneto o in Piemonte, così da far diventare anche l’Italia un player nell’industria dei semiconduttori, accorciando a dismisura la catena di forniture per gli stabilimenti del Bel Paese.
Un altro tema sempre più presente nei piani dei maggiori Gruppi automobilisti riguarda l’economia circolare, per creare una catena di valore capace di riciclare e riutilizzare materiali derivanti da auto dismesse. Per farlo serviranno nuove fabbriche, da far sorgere là dove i nuovi modelli verranno riassemblati e venduti.
Altra questione balzata agli onori della cronaca in occasione dello scoppio della guerra in Ucraina è stata quella relativa alla fornitura di cavi, settore che vedeva Kiev come leader europea, bloccata però dal conflitto. Ennesima emergenza nella supply chain auto con numerose Case a correre ai ripari inizialmente rivolgendosi ad altri fornitori sparsi per il Globo, con l’obiettivo però di riavvicinare il tutto il più possibile per evitare futuri problemi.
La questione batterie
La sempre crescente importanza dell’auto elettrica all’interno dei listini di gran parte dei brand – accelerata anche dalla deadline del 2035, anno in cui l’Europa ha programmato di smettere di vendere modelli con motori a combustione – ha poi sollevato la questione più spinosa: la produzione di batterie. La Cina è leader nella vendita di modelli a emissioni zero e da lei arriva il 77% delle batterie agli ioni di litio prodotte nel 2021. Una sorta di monopolista al quale Europa e Stati Uniti hanno iniziato a rispondere progettando numerose gigafactory (fabbriche dedicate proprio alla produzione di accumulatori per auto elettriche) all’interno dei propri confini.
Anche in questo caso l’Italia vuole ritagliarsi un posto al sole e sono 3 i progetti per far sorgere nuovi stabilimenti che vedranno la luce nei prossimi anni, grazie a investimenti sia di Gruppi automobilistici sia di industrie operanti nel settore dell’energia. In totale nel Vecchio Continente ci sono progetti per una quarantina di gigafactory annunciate o già in costruzione.
Così l’oliatissima supply chain che fino a qualche tempo fa permetteva al mondo di girare ora è diventata una sorta di freno, a rallentare produzione e vendite. Le risposte dell’industria automobilistica sono andate a differenti velocità, ma tutte in una direzione ben precisa: reshoring, ovvero lo spostare la produzione il più vicino possibile a dove le auto vengono assemblate. Così nuovi blocchi commerciali dovuti ai motivi più disparati non fanno più paura.
Tra chip e riciclo
Parlando ancora di chip, la Cina gioca da prima della classe ma la situazione potrebbe cambiare nei prossimi anni. Da tempo infatti colossi dell’informatica stanno pianificando la costruzione di nuove linee di produzione in Europa e Stati Uniti, così da rifornire in tempi brevi e senza intoppi le Case che a loro si affideranno. Alcune sono già operative e pensano già a ingrandirsi nei prossimi anni, con investimenti da centinaia di milioni di dollari, altre aspettano il “via libera” da parte delle autorità competenti.
Anche l’Italia potrebbe giocare un ruolo importante in questa partita: da settimane infatti un colosso della Silicon Valley avrebbe intenzione di investire 4,5 miliari di euro per la costruzione di una fabbrica di chip in Veneto o in Piemonte, così da far diventare anche l’Italia un player nell’industria dei semiconduttori, accorciando a dismisura la catena di forniture per gli stabilimenti del Bel Paese.
Un altro tema sempre più presente nei piani dei maggiori Gruppi automobilisti riguarda l’economia circolare, per creare una catena di valore capace di riciclare e riutilizzare materiali derivanti da auto dismesse. Per farlo serviranno nuove fabbriche, da far sorgere là dove i nuovi modelli verranno riassemblati e venduti.
Altra questione balzata agli onori della cronaca in occasione dello scoppio della guerra in Ucraina è stata quella relativa alla fornitura di cavi, settore che vedeva Kiev come leader europea, bloccata però dal conflitto. Ennesima emergenza nella supply chain auto con numerose Case a correre ai ripari inizialmente rivolgendosi ad altri fornitori sparsi per il Globo, con l’obiettivo però di riavvicinare il tutto il più possibile per evitare futuri problemi.
La questione batterie
La sempre crescente importanza dell’auto elettrica all’interno dei listini di gran parte dei brand – accelerata anche dalla deadline del 2035, anno in cui l’Europa ha programmato di smettere di vendere modelli con motori a combustione – ha poi sollevato la questione più spinosa: la produzione di batterie. La Cina è leader nella vendita di modelli a emissioni zero e da lei arriva il 77% delle batterie agli ioni di litio prodotte nel 2021. Una sorta di monopolista al quale Europa e Stati Uniti hanno iniziato a rispondere progettando numerose gigafactory (fabbriche dedicate proprio alla produzione di accumulatori per auto elettriche) all’interno dei propri confini.
Anche in questo caso l’Italia vuole ritagliarsi un posto al sole e sono 3 i progetti per far sorgere nuovi stabilimenti che vedranno la luce nei prossimi anni, grazie a investimenti sia di Gruppi automobilistici sia di industrie operanti nel settore dell’energia. In totale nel Vecchio Continente ci sono progetti per una quarantina di gigafactory annunciate o già in costruzione.